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Il 12 maggio scorso circa 8000 enti pubblici hanno ricevuto dal gruppo MonitoraPA una diffida per l'utilizzo di Google Analytics per le statistiche di accesso ai propri siti web. Due settimane dopo il Garante si è espresso con uno stop. A luglio una nuova diffida da MonitoraPA per i caratteri Google Fonts. Questi strumenti trasferiscono illegittimamente in USA dati personali e sono in contrasto con il GDPR.
Per il semplice cittadino che ha a cuore la tutela della propria privacy e per il webmaster notizie che non hanno avuto la risonanza che forse meritavano.
MonitoraPA scrive il 12 maggio
Tra il 12 e 13 maggio, enti pubblici per i quali gestisco il sito web, mi hanno inoltrato un messaggio di posta elettronica dall'oggetto: Diffida per violazione del GDPR per utilizzo Google Analytics su sito istituzionale.
Il messaggio, non anonimo e proveniente da un indirizzo PEC, era recapitato all'indirizzo PEC dell'ente. Mittente un gruppo che si identificava come MonitoraPA, con tanto di indirizzo di un sito web.
Quanto a Google Analytics, se non lo sai, è uno strumento fornito ai gestori di siti internet anche in forma gratuita. Consente di analizzare dettagliate statistiche sulle visite e sugli utenti per ottimizzare i servizi resi e monitorare campagne di marketing.
Ecco l'inizio dell'email di MonitoraPA: "Spett.le Ente, siamo un gruppo di hacker italiani, attiviste e attivisti, cittadine e cittadini attenti alla privacy ed alla tutela dei diritti cibernetici nel nostro Paese. Abbiamo rilevato che il vostro Ente utilizza Google Analytics nel suo sito, nonostante sia oramai pacifico che questo strumento non sia conforme ai principi del GDPR in ordine al trasferimento transfrontaliero di dati personali. L'utilizzo di GA è infatti stato ritenuto illecito dall'EDPS" cioè il Garante Europeo per la privacy (European Data Protection Supervisor).
Il messaggio riportava un link al sito web NOYB, acronimo di None Of Your Business, cioè "Non Sono Fatti Tuoi". Qui un articolo documenta l'ammonizione del Garante Europeo al Parlamento Europeo del gennaio 2022. Le ragioni erano banner poco chiari sui cookie del sito ma soprattutto il trasferimento verso gli USA di dati personali dei visitatori. Senza garanzia sui livelli di protezione. Vediamo oltre che cosa si intenda.
Il gruppo MonitoraPA insomma invitava circa 8000 enti pubblici a dismettere quanto prima il servizio di statistiche di Google, perché tale violazione, proseguiva il messaggio, "...espone l'Ente stesso alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dall'art. 83 del GDPR."
E consigliava, in alternativa a GA, Web Analytics Italia, strumento messo gratuitamente a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni dall'Agenzia per l'Italia Digitale basato su Matomo Analytics.
La notizia ha generato in poche ore un confronto in rete da cui sono emerse svariate posizioni e non pochi (ulteriori) grattacapi per i DPO o meglio RPD, (responsabili della protezione dati) di enti pubblici e non solo.
Anonimizzazione dei dati in Google Analytics
Su due piedi il webmaster, specie quello di un sito non istituzionale, non si è preoccupato più di tanto. Anche in caso di adozione di Google Analytics. Perché forse già consentiva all'utente di escludere i cookie di monitoraggio di Google prima della visita. E soprattutto faceva diligentemente ricorso alla c.d. anonimizzazione fornita dal servizio.
Ma anche se sei solo un utente di Internet, potrà interessarti sapere che Google propone ai webmaster un'opzione per cui parte dell'indirizzo IP, da cui si possa individuare l'identità di un utente e una marea di informazioni sulla sua posizione, sul suo dispositivo e tante altre, viene mascherato in queste statistiche.
Tecnicamente i dati vengono anonimizzati impostando, nel codice che consente il monitoraggio, il dato anonymize_ip: true. Ma anche se il webmaster adotta questa cautela, Google riceve ancora anche tutti gli altri dati consueti e offusca parte dell'IP successivamente.
Nella pagina sulla anonimizzazione in Google Analytics si legge: "Quando un cliente di Universal Analytics richiede l'anonimizzazione degli indirizzi IP, Analytics li anonimizza non appena è tecnicamente possibile".
Insomma Google riceve il dato personale e lo offusca a chi usa le sue statistiche. Ma è in grado di identificare l'utente che visita un sito anche se ricevesse l'indirizzo IP incompleto. Specie se in quel momento un utente è connesso al proprio account Gmail.
Google, analogamente a Facebook, ha tentato di raggirare il problema delle più stringenti normative europee sulla privacy, indicando come responsabile dei dati trattati la propria sede in Irlanda, entro i nostri confini continentali. Ma Google Ireland chiede di accettare agli utenti del servizio gratuito di Analytics, clausole che le consentono di trasferire dati ad altre società del gruppo, tra cui, ovviamente la sede americana.
Ma conviene comprendere il contesto giuridico in cui la mail di MonitoraPA del 12 giugno 2022 si inserisce.
Il contesto giuridico
Già il Regolamento europeo 679/2016, noto come GDPR, aveva sancito limiti alle possibilità di trasferimento di dati personali in stati extra-UE, consentendoli solo in presenza di specifici presupposti. Una legge americana, il c.d. Patriot Act, approvata all'indomani dell'11 settembre 2001, malgrado successive modifiche ma anche proroghe, consente ampie deroghe alle libertà individuali tra cui la privacy, al fine di ostacolare il terrorismo. In alcuni casi (le NSL) era stata ammessa la possibilità per l'FBI di ottenere, dai fornitori internet, dati sulle attività web dei cittadini, senza neppure mandato di un Giudice.
Per la verità, una legge limitata ai residenti nello stato della California, il CCPA, (California Consumer Privacy Act) aveva già introdotto dal 2018 valide misure, talvolta più stringenti di quelle del GDPR, per il controllo dei dati personali.
Ma la serie di accordi tra UE e USA del 2016, nota come Privacy Shield, evoluzione di precedenti accordi non ritenuti adeguati dalle istituzioni europee, consentiva a società americane di trasferire e conservare i dati personali di cittadini europei negli Stati Uniti, praticamente senza restrizioni. Senza necessità di ricorso alle ulteriori misure previste dal GDPR per i trasferimenti di dati fuori dal continente.
Questo "Scudo per la Privacy" era stato infatti considerato dalla Commissione Europea adeguato a garantire un idoneo livello di protezione di tutela dei dati personali.
Che significa? Faccio un esempio pratico. Immagina di prenotare un esame medico particolarmente delicato o di richiedere qualche forma di sostegno economico ad un ente pubblico. Ti fa piacere che queste informazioni, per via delle statistiche di Google nel sito web di questo o quell'ente, finiscano in USA dove agenzie governative possono accedervi senza limiti e senza alcuna tua possibilità di impedirlo o richiederne la cancellazione? Immagino di no.
Nel 2016 il Garante Europeo per la Privacy (EDPS) ammoniva infatti su problemi irrisolti dal Privacy Shield. Tra questi l'impossibilità di richiedere la cancellazione dei dati, la quantità mostruosa di dati personali raccolti e l'assenza di garanti. A peggiorare il quadro, un ordine esecutivo firmato a inizio 2017 dall'allora Presidente Trump, escludeva i non residenti in USA dalle tutele di riservatezza di dati personali.
A luglio 2020 quindi, una sentenza storica, nota come Schrems II. La Corte di giustizia dell’UE ha invalidato la decisione della Commissione Europea relativa al “Privacy Shield”. Ritenendolo illegittimo. Questa decisione, confermando la centralità del GDPR, rimarca che i dati trasferiti e conservati negli Stati Uniti non godono di un livello adeguato di protezione.
Si tratta di una decisione simile ad altre adottate da autorità di controllo tra cui quella austriaca e quella francese, dall'Alta Corte d’Irlanda e della stessa Commissione Europea.
E così, l'attivista austriaco Max Schrems, presidente onorario del citato sito web NOYB.eu, era riuscito, dopo un primo tentativo fallito contro il trasferimento di dati operato da Facebook verso gli USA, a smuovere le istituzioni europee.
In effetti, alla data del messaggio di MonitoraPA, vincoli stringenti per RPD e webmaster di siti web istituzionali nelle PA non sussistevano. Anche se nel Piano Triennale per l'Informatica nelle PA 2021-2023 si incoraggiano le amministrazioni ad adottare Web Analytics Italia per il monitoraggio dei portali web. E a metà del cammino quasi 8000 enti usano ancora le statistiche di Google che trasferiscono i nostri dati personali senza alcuna possibilità di controllo.
Quanto agli enti di cui gestisco il sito web, devo però dire che i rispettivi RPD, mi avevano già incoraggiato a studiare soluzioni alternative a Google Analytics anche se il nostro Garante per la privacy non si era ancora pronunciato.
Provvedimento del Garante del 9 giugno 2022: stop a Google Analytics
Ma una pronuncia sul merito specifico delle statistiche di Google, da parte del nostro Garante per la privacy arriva a stretto giro: il 9 giugno 2022. E fa seguito al ricorso presentato da un utente del sito web di una società toscana legata all'intrattenimento. Questi lamentava il trasferimento dei propri dati personali negli Stati Uniti, anche per il tramite della sede irlandese di Google, attraverso il sistema di monitoraggio Google Analytics.
Nel comunicato stampa, si legge che il ricorso a Google Analytics seppure con l'anonimizzazione e l'offuscamento parziale degli indirizzi IP, non è una misura adeguata a garantire il rispetto del GDPR. Cito testualmente, "...considerata la capacità di Google di arricchirlo con altri dati di cui è in possesso".
Infatti la mascheratura parziale degli indirizzi IP, assieme ai tantissimi dati già in possesso di Google sugli utenti di Android o comunque connessi al proprio account Google durante la navigazione, consente ovviamente al colosso tecnologico, di identificarli nuovamente ed arricchirne i singoli profili.
Con tale provvedimento il Garante si limita ad ammonire la società citata, ingiungendole di adottare, entro 90 giorni, misure supplementari volte ad evitare il trasferimento verso gli USA di dati degli utenti da cui si possa ricostruire l'identità.
MonitoraPA e Google Fonts
Come se non bastasse, ma prevedibilmente, l'8 agosto 2022 migliaia di enti pubblici hanno ricevuto una nuova mail di diffida dal gruppo MonitoraPA. Questa volta si parlava di Google Fonts, i caratteri tipografici messi gratuitamente a disposizione dei webmaster per i propri siti web. Ogni pagina che li incorpora tramite i server di Google, restituisce le stesse informazioni dello strumento Analytics.
Il gruppo fornisce anche indicazioni, per la verità imprecise, sul fatto che un webmaster impieghi 5 o 10 minuti per ovviare anche scaricando i caratteri offerti da Google. Scaricarli, caricarli sul sito web e puntare "localmente" alle risorse, piuttosto che ai server Google non è un istante.
Per il webmaster
Questo paragrafo è per i webmaster. Anzitutto i caratteri sono scaricati in formati TTF e OTF, installabili su PC ma non adatti alla diffusione via web. È quindi necessario convertirli in .woff e/o .woff2.
Talvolta però la conversione non può essere effettuata senza pagare una licenza all'autore del carattere. Google paga licenze per consentire agli utenti di Google Fonts di utilizzarli gratuitamente, nei formati richiesti per il web. Se sei un webmaster, verifica singolarmente le famiglie di caratteri che vuoi sostituire perché nello zip troverai le condizioni di licenza.
Se non vuoi farlo e non vuoi modificare i tuoi CSS per richiamare localmente i caratteri, c'è il servizio di FontLibrary.org. Come Google Fonts si basa su chiamate https ed è ospitato su server USA. Non trovo nel sito informazioni sui dati che sono raccolti e ci andrei comunque cauto.
Insomma se sei un webmaster, anche se il tuo sito non appartiene ad un ente pubblico o esercente un pubblico servizio, consiglierei di rimuovere presto G.A. se non lo hai ancora fatto. Non mi accontenterei di disattivare la c.d. "Raccolta dei dati granulari su località e dispositivo" e attivare Google Analytics 4. Con la nuova versione dello strumento Google dichiara di non memorizzare gli indirizzi IP. Ma suona come una presa in giro sapere che esso viene usato per ottenere differenti informazioni personali degli utenti anche se poi non viene memorizzato.
Non mi accontenterei di GA4 soprattutto perché le nostre autorità, europee e nazionali, non si sono ancora espresse sul nuovo strumento. Ma si sono già espresse sul fatto che anche un indirizzo IP parziale consente a Google di re-identificare un utente. E questo grazie alla mostruosa quantità di informazioni di cui dispone. Quantità che aumenta a dismisura se l'utente ha un dispositivo Android ed è quindi identificato dall'account GMail qualunque cosa faccia in rete.
Puoi optare per statistiche registrate a livello di server web, senza cookies e rispettose del GDPR. Come quelle che ho scelto per i miei siti web. Oppure puoi installare sul server il servizio di Matomo o usare la loro piattaforma in Germania, rispettosa del GDPR.
Cosa succederà?
È evidente che servono nuove misure di garanzia da parte di Google e che le nostre autorità di controllo verifichino la versione 4 di Analytics. E secondo me non risolvono i problemi di privacy che sembrano avere a cuore.
Più in generale e realisticamente servono nuovi accordi UE-USA sul trasferimento di dati oltreoceano. Per non paralizzare le attività di tantissime organizzazioni internazionali.
Io mi aspetterei una prossima mail di MonitoraPA avente ad oggetto diffide dal ricorrere all'incorporamento nelle pagine web di video YouTUBE. Anche se non vengono riprodotti, sono sufficienti ad inserire nel dispositivo di un utente, ad oggi, un totale di 14 cookies. Essi scadono fino a 2 anni dopo e da essi Google ricava una quantità di informazioni esagerata.
Io, approvo la sensibilizzazione operata dalla campagna di MonitoraPA e non faccio parte di quelli che dicono "Ma tanto sanno tutto lo stesso". Quello che questi colossi sanno, lo devono ad ogni pulsante Acconsento
che schiacciamo senza leggere tutto quello che c'è sopra. Convinti della gratuità dei servizi che stiamo per usare.
Come webmaster, in questo blog, ho attivato statistiche che mi danno meno informazioni di quelle di Google ma mi bastano e sono rispettose della privacy. Ho eliminato le pubblicità dopo un infelicissimo esperimento durato poco. Ho eliminato ogni riferimento alle statistiche e ai caratteri di Google e sostituito i video YouTube incorporati, con immagini di anteprima. Al momento tutti i siti web dei miei clienti privati e no ed i miei siti personali, tra cui questo blog, sono "Google Free". Il blog è privo di pubblicità, di tracciamenti di qualunque genere e privo di banner per i cookie. Perché di Cookie non ce ne sono.
Elimino l'indirizzo IP che mi arriva con ogni commento lasciato a fondo pagina nel momento che ne approvo uno. Non ho nulla che possa essere rivenduto se non i miei testi. Mi permetto di segnalarli per l'acquisto, a sostegno di un'attività che svolgo da solo e senza altre entrate.
Nel mio piccolo so di poter fare la differenza e ci tengo a farla.
Grazie per queste informazioni,
Qualcuno dovrebbe darsi una svegliata, visto che sono coinvolte tantissime pubbliche amministrazioni.
Dov’è la vigilanza? Dov’è il controllo di enti superiori su enti inferiori?
Questi spettacoli fanno male alla politica, fanno male ai cittadini che hanno, a ragione, l’impressione che la pubblica amministrazione sia allo sbando totale.
Non parliamo di pochi errori isolati ma di 8000 enti pubblici…
Le responsabilità oggi si chiamano disattenzioni, pertanto sappiamo con sicurezza che non verrà identificato alcun responsabile per queste “disattenzioni”.
Disattenzioni che coinvolgono i dati di milioni di utenti probabilmente, senza tener conto del fatto che milioni di dati sono stati regalati a multinazionali americane.
Non sono comunista o filorusso, direi le stesse cose se i dati non fossero stati inviati alla bandiera a stelle e strisce.
Riusciremo degooglizzarci?
Riusciremo mai a far passare all’open source la pubblica amministrazione?
Riusciremo mai ad imporre a Google regole che impongano il rispetto della privacy in EU?
Tutto procede troppo lentamente, le risposte dal parlamento UE sono lente e, sembra, senza troppo interesse per la cosa.
Anche il passaggio della PA all’open source sembra non interessare i nostri burocrati, come al solito saremo noi cittadini, ad orientare il mercato passando lentamente ma inesorabilmente a Linux man mano che i giovani e gli utenti tutti ricevono le giuste informazioni finora occultate dai media.
Scusate lo sfogo, e scusate se ho detto inesattezze.
Ciao Davide, grazie a te per i commenti che ovviamente sono indignati e non potrebbe essere altrimenti.
Abbiamo da anni un’Agenzia per l’Italia Digitale e ancora ci facciamo prendere in giro per il mondo per la nostra arretratezza.
Parlerò ancora di leggi non applicate, costi esorbitanti di licenze software e delle responsabilità di chi spende il nostro denaro in modo inadeguato.
Nemmeno io voglio fare politica ma nel mio piccolo ho detto addio da anni a social e sistemi di messaggistica considerati standard.
Non ho assistenti digitali, smartwatch, non lascio mai commenti online, né mi piace o non mi piace, disattivo ogni possibile sincronizzazione dello smartphone Android e vado per la mia strada.
Quanto al diffondersi di Linux, purtroppo non sono ottimista come te. Nelle scuole si insegna l’uso di MS Office e nelle Università ad usare i programmi Adobe. Le scuole spendono milioni di euro per licenze e finché compri un computer, lo accendi e funziona, sarà difficile che in molti si smuovano dalla pigrizia e installino altro. Poi Linux non ha certo i mezzi per imporsi nel mercato dei PC consumer. Paradossalmente potrebbe riuscirci Google con i suoi Chromebook. E forse siamo accapo.
Credo sia molto difficile essere totalemente coperti dalla privacy in questo mondo completamente connesso a tutto ed a tutti, ma una certa regolamentazione su ciò che accade dietro i nostri monitor serve, ma soprattutto serve qualcuno che tuteli i nostri dati, un soggetto terzo che ci garantisca fuori e dentro il terriotrio nazionale.
Per questo motivo credo che la privacy, passi anche dalle infrastrutture che devono essere gestite e di proprietà dello stato.
Molto dipende, però, anche da noi, da un uso responsabile della rete, sfruttandone i vantaggi e minimizzandone i rischi.
Dobbiamo essere più consapevoli, e mi ci metto in mezzo pure io.
Grazie per l’articolo molto interessante.
Luca
P.S: tanto per cominciare dovrei essere il primo a cambiare il mio indirizzo di posta che è @gmail.com 🙂
Ciao, dici cose condivisibili. Sembra ormai una lotta contro i mulini a vento quella per la riservatezza. Ma c’è chi non si preoccupa e si tiene in casa Alexa o simili, o chi indossa orologi che trasmettono h24 parametri vitali e sono anche piacevolmente colpiti quando viene loro ricordato che hanno fatto solo un certo numero di passi! Ma quanto ci tengono alla nostra salute 🙂
Chiunque abbia un telefono non Apple, come me, ha un indirizzo gmail. C’è poco da fare. Grazie a te per il commento e l’apprezzamento. Ciao
La PA è legata a Microsoft, e comunque anche se non ci fossero accordi è troppo pigra per migrare a Linux.
Chi glielo fa fare? Tanto le licenze le paghiamo noi con le nostre tasse!
Enti privati avendo a che fare burocraticamente con la PA usano di conseguenza Microsoft.
Io mi riferivo ai cittadini come me e te, ai nostri figli, infatti proprio grazie a molti come te e Morro o Riccardo Palombo e a tanti altri anche stranieri si sta “bucando” il muro di ignoranza sul mondo open source e su Linux in particolare.
Personaggi come voi riescono a trasmettere al cittadino tutte quelle informazioni che servono per capire l’importanza del mondo open rispetto a quello closed.
Quello che fate voi tutti è meraviglioso, grazie alla vostra capacità comunicativa rendete semplice e chiaro ciò che è sempre stato tenuto nell’oscurità creando paura e sfiducia.
Io sono passato a Mint grazie ad un tuo video e grazie ad uno di Riccardo Palombo proprio sulla semplicità e la facilità d’uso di Linux Mint.
L’opera che voi svolgete volontariamente è importantissima! Come io vedendovi ed ascoltandovi ho aperto gli occhi e la mente così molti altri lo faranno, e man mano che si supereranno alcune barriere tipo la compatibilità dei giochi e del software Microsoft gli utenti aumenteranno ancora.
Arriveremo ad un punto che le case software per loro stesso interesse cominceranno ad interessarsi a Linux.
Forse come dici tu sono troppo ottimista, o chissà quanto tempo ci vorrà, ma ci sono delle possibilità.
Sicuramente gli avversari non se ne staranno con le mani in mano, e anche da questo dipende molto…
Ma i giovani, bisogna comunicare ai giovani, spiegare come si è arrivati a questa situazione di monopolio e illustrare chiaramente il mondo meraviglioso che ci è stato nascosto, il mondo che poteva essere.
Siamo tanti, più di coloro che lavorano nei ministeri, se noi facciamo cambiare i numeri in gioco l’attenzione ricadrà inevitabilmente su di noi.
Bellissime osservazioni Davide. Tocchi un punto di cui parlerò prossimamente circa l’adozione di software “riusabile” nelle PA. In particolare l’art. 68 del Codice dell’amministrazione digitale imporrebbe analisi comparativa delle soluzioni e quelle commerciali dovrebbero essere l’ultima scelta. Poi si spendono milioni di licenze.. Ma si possono pressare i dirigenti e se non provano di aver valutato diverse soluzioni, vanno incontro a segnalazioni al Garante e a sanzioni. Appena arriverà a conclusione una vicenda che sto seguendo, ne parlerò.
Bravissimi Riccardo Palombo e anche Moreno “Morro”, lusinghiero venirvi associato. Grazie e a presto
Questo articolo non lo conoscevo, vedi che a parlare con te si imparano un sacco di cose? :))
L’ho già girato ad alcune persone che lavorano nei punti giusti della PA, sono conoscenti ed amici con cui ho avuto a che fare per lavoro e siamo rimasti in contatto.
Vuoi vedere che non lo conoscono neanche loro?
Staremo a vedere…
Per il resto, non per adularti non mi fraintendere, ma forse tu hai fatto anche di più di Morro e Riccardo, perchè loro parlano di Linux in generale, Riccardo che seguo da tanto più di tecnologia e pc, ma solo tu hai un sito che parla esclusivamente di Linux e di Mint in particolare con relativo canale YouTube.
Voglio dire che i tuoi video sono proprio mirati a colmare quel vuoto che permette ai giovani di dire “ah si? Non lo sapevo, quasi quasi lo provo…”
Non mi invento nulla, sono commenti che ho ricevuto condividendo i tuoi video e i tuoi articoli sui social, specialmente twitter.
Alcuni mi hanno chiesto il link al sito ufficiale di Mint, altri sono rimasti sbalorditi perché non avevano assolutamente idea potesse esistere un OS alternativo a Windows completo e funzionale e facile da usare.
Ho ricevuto anche molti commenti come “…interessante…” e “come mai non se ne sa nulla? E’ anche gratis dovrebbe essere popolare…”
Questo per dire che hai centrato, secondo me, l’obiettivo di colmare una grande lacuna cioè quello di far vedere a tutti che Linux è facile, è migliore, è facilmente installabile, è facile provarlo, tutto corredato dai relativi video…
Quindi le mie parole entusiaste nei tuoi confronti sono solo di semplice ammirazione e ringraziamento perché stai facendo alla perfezione quello che dovrebbero fare le scuole, la televisione, i siti istituzionali etc etc…
Chiedo scusa se ho chiacchierato troppo, vi saluto e auguro buon lavoro e buona continuazione a tutti 🙂
Concordo su quello che dici in toto…….e affermi…che le case software per loro stesso interesse cominceranno a interessarsi a Linux? Arrivi tardi Microsoft ha già cominciato a mettere le mani su Linux con alcune utility…….con Windows SubSystem for Linux per esempio e, dulcis in fundo, sviluppato il suo Linux personale: CBL-Mariner, dove CBL sta per Common Base Linux. loro dicono che è stato progettato per un utilizzo interno e può essere ora usato da tutti sotto licenza MIT. E Microsoft ha dichiarato: “l’impegno dell’azienda per l’open source e per restituire il suo contributo alla comunità Linux“. Ma pensa un pò che benefattori, magari contribuiscono anche loro a sviluppare Linux. Inoltre penso, forse in maniera pessimistica, che un Linux usato da pochi non fa notizia, per ora,……..ma avere un sistema operativo libero e non controllabile “da qualche stato” ho i miei dubbi che possa farla franca ………Intanto la guerra in Ucraina ha cambiato alcune cose nella visione di questi paesi di utilizzare un sistema operativo che monitora troppo cose personali……
Ciao, grazie, condivido. Se posso permettermi, scherzosamente, ti dico che tu sei arrivato tardi. Microsoft è dal 2016 uno dei principali promotori dello sviluppo del kernel (e non solo). Poi si è comprata per 7,5 mld di $, GitHub, il più grosso archivio di codice open-source del mondo. Ha il controllo su quasi tutto il software esistente.
Ne ho parlato nell’articolo sulla fine del programma atom.
Si però fai caso che ci sono molti canali di youtube che trattano di tecnologia, pc, sistemi operativi che bypassano completamente Linux.
Per esempio #Prodigeek parlano solo di Windows, questo è il problema, come si fa ad ignorare completamente il mondo Linux??
Chi fa informazione tecnologica per quale motivi dovrebbe escludere completamente il mondo opensource?
Linux è tanta roba come si fa a parlare di informatica per anni e non dare neanche un accenno al mondo Linux?
C’è qualcosa che non va datemi retta, c’è qualcosa sotto, non è una cosa normale questa.
Ciao Dario, per me l’argomento che hai trattato è importante, ma purtroppo molto complesso e non sono riuscito a leggerlo tutto. In realtà io sono passato a Linux anche per questioni di privacy……ma essendo un principiante di Linux la questione per me non è molto chiara. Già esistevano delle piccole utility per disabilitare le routines di acquisizione dei dati che Microsoft monitora quando si utilizza Windows………e se si guarda la quantità esagerata di voci da disabilitare….viene già da pensare quanto sia difficile controllarle. In più ci si mette pure Google………A parte che non stiamo parlando di attività illecite in rete perchè penso che sia anche giusto monitorare le attività per scopi di sicurezza. Ma c’è anche l’estremo opposto: raccogliere dati per fini che vanno oltre il rispetto della privacy. In generale io uso DuCkDuckgo……e non Google…….però ha dei limiti. Inoltre è corretto usare un browser con una VPN per tutelare maggiormente la privacy? puoi dare delle indicazioni oppure l’avevi già fatto nei precedenti argomenti che hai trattato. Grazie, saluti
Ciao Michele, questo articolo è un po’ fuori luogo. Ma rientra nella scia di quelle nozioni di cultura e libertà digitali che sento di dover affiancare alla praticità di informazioni per usare informatica libera. L’articolo vuole essere un po’ notizia per un cittadino che forse non ha sentito parlare di questi accadimenti (pochissimo citati dalla stampa) e un po’ una serie di indicazioni per i webmaster.
Ma ne seguiranno altre sugli sbandierati argomenti di Innovazione Digitale e su dove siamo davvero perché chi legifera è il primo a non applicare le leggi.
Nemmeno io uso Google e ho manifestato la mia simpatia per StartPage anche se DuckDuckGo va altrettanto bene.
Quanto alle VPN io credo che abbiano senso se uno deve aggirare limiti imposti da politiche locali restrittive come può essere per paesi che incontrano censure. Per un utente finale, a mio modesto e confutabile parere, non cambia nulla se non scegliere di lasciare che non più il provider internet ma un altro soggetto, sappia tutto di te.
Nell’articolo sui browser, suggerisco Brave e forse dovrei scrivere che è bene usarlo su mobile in modalità privata per entrare su YouTube, al posto della app. Così blocchi pure le pubblicità che sono più difficili da bloccare rispetto al PC.
Grazie Dario! come sempre l’articolo e video ben spiegato e rivolto anche a chi chi non è un tecnico.
I miei complimenti per tutto quello che fai!
Attendiamo altri tuoi interessanti video.
Un caro saluto.
Albano
Grande Albano! Grazie! Come sai ho altri di articoli di sensibilizzazione in cantiere e almeno uno lo dovrò certamente a te! Un abbraccio e a presto
Gentile Dario, la ringrazio per questo articolo e per il suo modo di rendere chiare anche cose difficili. In particolare mi ha colpito molto il percorso diacronico che ha scritto. Grazie per il bene che fa. Continuando a leggerla, con stima, Sergio.
Grazie a lei per l’incoraggiante apprezzamento. E spero che anche chi non ha studi classici alle spalle possa interessarsi a queste questioni. Un saluto cordiale